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Resistenza

L’estate del 1943 a Vicenza, con una nota sull’aria di una sinfonia. Dai ricordi di Mario Mirri

24/07/2015

di Filippo Benfante

Anche in mancanza di anniversari tondi – siamo al 72° – cominciamo a rievocare le giornate del 25 luglio e dell’8 settembre 1943. Le prendiamo un po’ alla larga, grazie ad alcuni ricordi relativi all’estate 1943 a Vicenza, che lo storico Mario Mirri rese pubblici circa trent’anni fa. Mirri, nato nel 1925, dal 1939 viveva a Vicenza con la famiglia, di origine toscana, vi frequentava il liceo e gli ambienti dell’antifascismo azionista e liberalsocialista da cui sarebbe uscita la banda dei “piccoli maestri”: nel romanzo di Luigi Meneghello è “Marietto”, il più giovane di tutti. Questi ricordi sono anche l’occasione per tornare sul canzoniere partigiano che qualche mese fa ci ha accompagnato per gli auguri di buon Primo maggio.

I brani che seguono sono ripresi da un lungo intervento intitolato Fra Vicenza e Pisa: esperienze morali, intellettuali e politiche di giovani negli anni ’40, che Mario Mirri pubblicò nel 1989, come appendice al volume degli atti di un convegno dedicato al Contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista ed alla guerra, che si era tenuto a Pisa il 24-25 aprile 19851.

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  1. Il contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista ed alla guerra, atti del convegno (Pisa, 24-25 aprile), a cura di Filippo Frassati, Giardini, Pisa 1989. Il saggio di Mirri alle pp. 267-402. [↩]

Archiviato in: Filippo Benfante, Letture, Mario Mirri Etichettato con: 25 luglio, 8 settembre, anniversari, antifascismo, Luigi Meneghello, Resistenza

Un buon 25 aprile tra i libri

24/04/2015

di Alberto Cavaglion

Anche quest’anno per i nostri tradizionali auguri di buon 25 aprile abbiamo chiesto aiuto a un amico. L’8 aprile è uscita la nuova edizione del libro di Alberto Cavaglion, La Resistenza spiegata a mia figlia. Per gentile concessione dell’autore e dell’editore Feltrinelli, proponiamo alcune pagine tratte dalla nuova premessa – dove Cavaglion torna sul contesto e sui motivi che l’hanno spinto, dieci anni fa, a scrivere questa “lettera per un compleanno” – e quelle dell’ultimo capitolo dedicate a Federico Chabod e al suo libro nato durante la guerra e la Resistenza. I libri sono il filo conduttore del racconto di Cavaglion: l’autore affronta la “missione impossibile” di spiegare alle generazioni più giovani quella “incandescenza che la storia d’Italia acquistò tra il luglio del 1943 e l’aprile del 1945, imprevedibile allora, […] ancora oggi sorprendente, inusuale per adulti che desiderino capire il paese dove vivono”, ricorrendo a “un disordinato passaggio di libri” dalle sue mani a quelle di sua figlia e dei suoi lettori. Con l’auspicio che sia un incontro felice.

Premessa

La prima edizione de La Resistenza spiegata a mia figlia risale all’aprile 2005: suscitò discussioni infinite prima ancora di uscire. Aspre discussioni, legate al fatto che il lavoro, commissionato da una grande casa editrice, una settimana prima di andare in tipografia, con la copertina già pronta, venne restituito al mittente. Nemmeno adesso mi risultano chiare le ragioni del rifiuto. Nel 2005 il dibattito sulla Resistenza era quanto mai anchilosato, procedeva per schieramenti rigidi. Le vittorie elettorali della destra di Berlusconi e Fini causavano il panico tra gli storici dell’Italia contemporanea. Era diffusissima l’abitudine al lamento e al grido di dolore, ma qualcuno che facesse qualcosa per rimediare non lo trovavi. Guaire non basta. Pur a disagio nei panni del padre che “spiega” qualcosa ai figli, mi ero messo a scrivere per reagire a questo stato di cose.

[Per saperne di più…] su di noiUn buon 25 aprile tra i libri

Archiviato in: Alberto Cavaglion, La città invisibile, Letture Etichettato con: 25 aprile, anniversari, pagine scelte, Resistenza, scuola

La Ghirlanda fiorentina. Una lettura

17/06/2014

di Pergentino Burdizzo

Si allarga la cerchia degli amici che leggono per noi: Pergentino Burdizzo ci scrive a proposito del recente libro di Luciano Mecacci dedicato alla ricostruzione dei moventi e dei mandanti dell’omicidio del filosofo Giovanni Gentile, ucciso a Firenze il 15 aprile 1944. Non una recensione, ci scrive Burdizzo, ma “un condensato delle note a margine” suscitate dalla lettura. Vista la lunghezza del testo, ne presentiamo qui di seguito solo una parte; per scaricare il testo integrale, cliccare qui.

In questo volume che Luciano Mecacci ha dedicato all’uccisione di Gentile ed al contesto in cui è avvenuta (La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano 2014), le allegazioni prodotte sono colluvie. Agli specialisti il compito di sceverare il nuovo dal noto. Il lavoro da fare è molto, trattandosi di venire a capo di 520 pagine, ma per fortuna gli specialisti del tema sono numerosi. La bibliografia ragionata che Mecacci, con lodevolissimo scrupolo, offre in coda al suo studio occupa ventuno pagine fitte in corpo minuto. Il tema insomma non si presta a randonnées di principianti. La consegna è quella dei due di piantone al tempio di Sarastro: zurück a chiunque osi avvicinarsi sprovvisto di lasciapassare. Intimazione che ho sentito benissimo, salvo che gli appunti che seguono, caro amico, non sono mica una recensione, ma giusto un condensato degli appunti scritti a margine.

[Per saperne di più…] su di noiLa Ghirlanda fiorentina. Una lettura

Archiviato in: Letture, Pergentino Burdizzo Etichettato con: anticomunismo, antifascismo, comunismo, fascismo, Firenze, Giovanni Gentile, Resistenza, seconda guerra mondiale, storiografia

Gli ultimi giorni dell’aprile del 1945. La Liberazione nel Feltrino

24/04/2014

di Silvio Guarnieri

Ormai da qualche anno il rito ufficiale del 25 aprile comprende il divieto di cantare Bella ciao. Anche nel 2014 avremmo potuto riprendere lo spunto, questa volta dalla cronaca di Pordenone, ma ci limitiamo a rimandare a quanto abbiamo già pubblicato nel 2010 e nel 2011. L’anno scorso abbiamo augurato buon 25 aprile con una rievocazione della Liberazione a Venezia, scritta da Maurizio Reberschak. Quest’anno riprendiamo alcune pagine di Silvio Guarnieri, tratte dalla sua Storia minore. Guarnieri, che in quei giorni di fine aprile 1945 si trovava a Timisoara, rievoca senza retorica i giorni della Liberazione a Feltre sulla base dei racconti che ne avevano tramandato la memoria. Esercito nemico in fuga, ultimo scontro militare, formazioni della brigata Gramsci in città, folla in piazza, colpi d’arma da fuoco, arrivo degli alleati, disarmo dei partigiani, due fascisti in uniforme tedesca giustiziati: e nell’aria la restaurazione.

Erano gli ultimi giorni dell’aprile del 1945; per le strade che portavano al nord passavano le colonne dell’esercito tedesco in rotta; una fila continua di formazioni ancora inquadrate dagli ufficiali, con le armi pronte alla difesa come all’offesa, intervallate dagli automezzi carichi di quei soldati che erano riusciti a farvisi un posto, di chi più non riusciva a camminare, di feriti e di mutilati e da qualche carro armato che arrancava consumando le ultime riserve di carburante; ma quell’ordine, quell’orgoglioso residuo di una disciplina accettata come un costume, come un segno di dignità finivano con l’essere sommersi e sconvolti dalle ondate degli uomini che si andavano trascinando nella fatica del troppo lungo camminare; ed in parte avevano gettato le armi, ed in buona parte avevano le divise strappate, le scarpe sfondate; anche portavano le tracce evidenti delle offese ricevute e che andavano ricevendo; sia in scontri occasionali con forze partigiane, sia, e queste ben più gravi, per i mitragliamenti a tappeto con cui di quando in quando andava accompagnandoli l’aviazione alleata; sconvolgendo le loro file, seminando la strada di morti e di feriti, incendiando gli autocarri; provocando dei vuoti spaventosi. Nel Feltrino le formazioni partigiane, dalle montagne dove avevano avuto le proprie basi, scendevano a valle, verso le grandi vie di comunicazione su cui si affollava, nella sua marcia faticosa e sanguinosa, l’esercito nemico, l’esercito sconfitto. Qualcuna, giunta in quei pressi, prendeva posizione, si attestava con le armi pronte; attendeva gli ordini.

In un albergo sito fra Feltre e Pedavena, Oreste Gris, comandante della piazza, insieme ad altri due comandanti partigiani, trattava con gli ufficiali del comando tedesco i termini ed i modi della resa, della ritirata. Questi chiedevano il libero passaggio delle truppe sino al confine, con le armi e egli equipaggiamenti di cui ancora disponevano, senza subire molestie od aggressioni; mentre garantivano che non sarebbe stata presa da parte loro nessuna iniziativa ostile, che per nessun motivo avrebbero proceduto a requisizioni, ad appropriazioni di beni, di cibo, a scapito delle popolazioni. E badavano a prolungare la discussione con proposte e controproposte, evitando di prendere impegni troppo gravosi, rinviando l’accordo, così da ottenere di fatto quanto si proponevano, poiché la grande marcia era in corso e difficilmente avrebbe potuto essere arrestata od anche soltanto ostacolata. I comandanti partigiani fremevano; essi avrebbero voluto la vittoria sul campo; la resa dei nemici, la consegna delle armi; d’altra parte essi ben sapevano che le forze di cui disponevano, che là intorno erano convenute ed andavano giungendo, in nessun modo, né per numero di combattenti, né per armamento, erano in grado di contrapporsi a quello che tuttavia restava un esercito, od anche soltanto a quella parte di esso che ne conservava la conformazione. Un’aggressione, una qualunque azione di molestia avrebbero potuto provocare in esso scompiglio, e morti e feriti, ma sarebbe state presto respinte; i partigiani sarebbero stati rapidamente soverchiati; l’orgoglio di una sfida coraggiosamente affrontata, la rivendicazione di una dignità riscattata non avrebbero ripagato le perdite subite. Restava l’amarezza di assistere impotenti e frementi alla ritirata indenne di coloro che durante un anno e mezzo si erano comportati da padroni spietati, distruggendo, uccidendo, torturando, senza mai un atto di clemenza, di pietà.

Proprio rispondendo a tale stato d’animo, a tali sentimenti, una formazione partigiana, la quale controllava ad Arsié una delle strade che dalla pianura portano verso il nord, reagendo al comportamento minaccioso e provocatorio di una colonna dell’esercito tedesco in transito, la affrontò con decisione. Fu uno scontro breve ma cruento; caddero numerosi i colpiti dall’una e dall’altra parte; ed in esso perse la vita, con sei o sette compagni, Edoardo De Bortoli, dal nome di battaglia Carducci; uno tra i più coraggiosi e generosi comandanti partigiani il quale non aveva dimesso il suo impegno nei mesi più lunghi e travagliati dell’ultima invernata dopo lo scioglimento della “Gramsci” a seguito del rastrellamento dell’autunno precedente; passando da una formazione all’altra, da un corpo all’altro, e sempre distinguendosi per la sua pacata assennatezza, per il suo equilibrato giudizio ed al tempo stesso per la fermezza delle sue decisioni. Ora, forse anche lui, – nell’esaltato fervore di quel momento tanto atteso, in cui i partigiani si sentivano ormai padroni della situazione, – aveva accondisceso ad un impulso immediato, raccogliendo una sfida avventata; ed era caduto nell’ultimo agguato; aveva pagato, come sempre, di persona.

In quello stesso pomeriggio le formazioni della brigata “Gramsci” entrarono in città precedendo di poco l’arrivo delle truppe alleate; le ultime frange dell’esercito sconfitto erano ormai lontane; la gente era scesa in piazza, si affollava per le vie del centro. Colpi di arma da fuoco echeggiavano dagli orti e dai giardini sopra le mura; nel vano tentativo di salvarsi con una fuga affannata, un fascista, collaboratore dei tedeschi, che aveva assolto alla funzione di custode nel piccolo carcere mandamentale della città, li attraversava correndo e sparando incalzato da un gruppo di partigiani. Un altro anziano fascista, pur non imputabile di gravi responsabilità, scovato in casa, era stato trascinato a forza in piazza ed issato in una delle strombature laterali della Porta imperiale, a dileggio; ma vi era anche chi lo minacciava di morte e si mostrava deciso ad eseguire quello che riteneva un giusto verdetto di condanna; quasi una violenza ingiustificata ed intempestiva potesse compensare e tacitare le sofferenze, i soprusi, le umiliazioni subite. Ma qualcuno intervenne con modi decisi a riportare alla ragioni quanti troppo facilmente accondiscendevano ad impulsi incontrollati, ed il malcapitato fu fatto scendere di là e lasciato libero di tornarsene alla famiglia. Appena ebbe assunto i propri poteri in città, il comando alleato procedette al disarmo dei partigiani.

Non tutti risposero a quell’invito; molti vi accondiscesero di malavoglia, ritardando la consegna, quasi attendendo disposizioni diverse, esitanti e riluttanti ad adattarsi al nuovo ordine; qualcuno si tenne le armi che aveva usato, le nascose in un luogo sicuro, già sperimentato. Qualche giorno dopo l’arrivo degli alleati, di mattina, al primo albeggiare, alcuni partigiani si presentarono armati alla porta del carcere della città; entrativi a forza prelevarono dalle celle due fascisti che, vestiti dell’uniforme tedesca, si erano affiancati agli occupanti collaborando con loro con denunce ed incriminazioni; li costrinsero a seguirli e, condottili alla periferia della città, li fucilarono; quindi ne riportarono i cadaveri nello slargo al centro là lasciandoli ad esempio ed ammonizione; quasi rivendicando ancora una volta la propria presenza, la propria capacità di farsi e di fare giustizia; mentre così testimoniavano la convinzione che una giustizia quale essi avevano atteso, quella per la cui realizzazione avevano operato, ormai non si sarebbe affermata. Ed era questa in fondo l’ammissione di una propria impotenza, del riconoscersi esclusi dal contesto della società quale si andava assestando nella sua vecchia conformazione.

Nota. Tratto da Silvio Guarnieri, Una guerra totale, in Id., Storia minore, illustrazioni di Vico Calabrò, Bertani, Verona 1986, pp. 316-320 (il racconto alle pp. 291-320). Per gentile concessione degli eredi Guarnieri.

Tutti gli articoli che abbiamo pubblicato in tema di 25 aprile si possono leggere a partire da questa pagina: http://test.storiamestre.it/tag/25-aprile/. Su Bella ciao rimandiamo in particolare agli interventi di Marco Toscano e di Lia Botter.

Archiviato in: La città invisibile, Silvio Guarnieri Etichettato con: 25 aprile, Edoardo De Bortoli (Carducci), Feltre, Oreste Gris, Resistenza, ricordi, storia orale

“Aiutarli a casa sua”. Un inusuale uso pubblico della Resistenza

29/03/2014

di Plinio Vecchiato

Il nostro amico Plinio Vecchiato ci coinvolge di nuovo in una sua lettura: un articolo pubblicato dal “Gazzettino”, edizione di Treviso, il 25 marzo 2014.

A pagina 3 dell’edizione del 25 marzo 2014 del “Gazzettino di Treviso” ho letto una dichiarazione del presidente della provincia di Treviso Leonardo Muraro che mi ha entusiasmato. Si parla di quaranta profughi africani, somali malesi e ivoriani, che pare saranno ospitati nella Marca. Il nostro esprime, ça va sans dire, contrarietà all’ipotesi, ma argomentando in maniera del tutto nuova:

[Per saperne di più…] su di noi“Aiutarli a casa sua”. Un inusuale uso pubblico della Resistenza

Archiviato in: Letture, Plinio Vecchiato Etichettato con: 25 aprile, antifascismo, fascismo, leghismo, Resistenza, uso pubblico della storia

Nessuno si consideri in salvo. Presentando Manlio Calegari

24/11/2013

di Piero Brunello

Pubblichiamo l’intervento con cui Piero Brunello ha introdotto Manlio Calegari, primo ospite della nuova serie degli “spunti-ni storici” di storiAmestre.

1. I soci di storiAmestre conoscono già Manlio Calegari. È venuto a trovarci più volte: ricordo la prima tanto tempo fa (forse i primi anni Novanta?), al Municipio di Mestre; poi, quando è uscito il quaderno di storiAmestre Pensieri da un motorino, di Gigi Corazzol, è stato lui, insieme a Giovanna Lazzarin, a presentarlo nella sede degli Itinerari educativi in via Pio X; un’altra volta, proprio in questa sede, ha presentato il suo Museo operaio, in cui ciascuno doveva scegliere un oggetto da mettere nel museo (un po’ quel che facciamo noi con la rubrica Oggetti del nostro sito). Abbiamo pubblicato una rievocazione sua e di Jeff Quiligotti sui fatti di Genova del 1960, in occasione del cinquantenario. 

Oggi Manlio ci rende partecipi delle sue riflessioni su una questione personale, se si vuole, ma che ha risvolti archivistici, storiografici e politici. Nel corso di un ventennio Manlio ha raccolto 201 cassette con interviste a ex partigiani e adesso, sembrandogli che quelle interviste possano essere difficilmente comprensibili se non a chi le ha raccolte, cioè a lui stesso, si chiede cosa farne. Su questo ci ha mandato gentilmente uno scritto per il nostro sito. Comincia così:

[Per saperne di più…] su di noiNessuno si consideri in salvo. Presentando Manlio Calegari

Archiviato in: La città invisibile, Letture, Piero Brunello Etichettato con: antifascismo, presentazione, Resistenza, spunti-ni storici, storia del lavoro, storia orale, storiografia

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