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“I trucchi del mestiere”. Un lavoro a carnevale

10/04/2014

di Anna Scandolin

Anna Scandolin descrive l’evoluzione di un impiego stagionale che svolge da sei anni: il truccatore per Carnevale, un’attività nata spontaneamente nei primi anni Novanta e oggi regolamentata (prevede un bando, un numero chiuso, spazi precisi dove può essere svolta). Trovare il posto giusto, giornate di lavoro lunghe, rapporti con i colleghi, remunerazioni in calo, clientela che cambia: un punto di osservazione particolare su un carnevale ogni anno più irreggimentato e meno sorprendente. Le foto che illustrano l’articolo sono di Anna Scandolin e Tommaso Ceccanti.

1. Il carnevale di Venezia vede la comparsa della figura del “truccatore” solo nel 1992 per spontanea iniziativa di alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti. Inizialmente non esisteva una regolamentazione in merito: durante i giorni del carnevale, chiunque poteva dipingere maschere o decorazioni sul volto dei turisti, in cambio di una libera offerta, sistemando dove desiderava il proprio tavolino con pennelli e colori e lo sgabello per far accomodare il cliente; i più sceglievano piazza San Marco o il piazzale di fronte alla stazione dei treni.

Ogni anno il numero dei truccatori aumentava e il Comune di Venezia ha ritenuto opportuno regolamentare questa nuova attività istituendo un bando per il rilascio, per un numero limitato di posti, di un regolare permesso che vale dieci giorni (dal sabato che precede il “volo della Colombina” al Martedì Grasso) e indica a ogni truccatore la zona in cui svolgere la sua attività, ormai sempre più relegata nei campi minori lontani dalle rotte turistiche.

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Archiviato in: Anna Scandolin, La città invisibile, Tommaso Ceccanti Etichettato con: carnevale, descrizione, lavoro, Venezia

La Cina è vicina? Leggere “Operaie” di Leslie T. Chang a Marcon

14/12/2012

di Mirella Vedovetto

La scheda preparata da Mirella Vedovetto inaugura la nuova rubrica del sito di storiAmestre: letture.

Una mattina, si erano concluse da poco le mie ferie di agosto, mentre andavo a lavorare mi era venuto il desiderio di leggere qualcosa che parlasse del mondo del lavoro dal punto di vista dei lavoratori: un’inchiesta, interviste, un racconto biografico… Ho chiesto un consiglio e mi è stato suggerito Operaie di Leslie T. Chang, edito in italiano da Adelphi nel 2010 (l’edizione originale è del 2008).

Ho iniziato a leggerlo a settembre. Sono arrivata a metà e poi l’ho lasciato sul comodino per diverso tempo, senza più aprirlo. Solo in questi ultimi giorni, a fine novembre, l’ho ripreso in mano e finito. [Per saperne di più…] su di noiLa Cina è vicina? Leggere “Operaie” di Leslie T. Chang a Marcon

Archiviato in: Letture, Mirella Vedovetto Etichettato con: Cina, lavoro, Marcon

Minatori del bellunese. Una lettera e due ricordi

11/12/2012

di Fabrizio Zabeo

Per tre generazioni, gli uomini della famiglia Boz emigrano dal Bellunese verso la Lorena, dove si sposano con una compaesana. Gli uomini lavorano sotto terra, nelle gallerie delle miniere, le donne pascolano le capre sulla collina. Viaggi di andata e ritorno, famiglie che si ramificano, qualcuno resta in Francia, un altro compera un terreno dove costruirsi una casa a Favaro Veneto, vicino ai lavori di Porto Marghera. Parenti sparsi per il mondo; Mestre, una tappa nelle migrazioni di un famiglia. Nella lettera di Fabrizio Zabeo, una prima risposta alla proposta di ricerca di Giovanni (Franco) Colle sull'armata perduta di Cambise?

Cari amici di storiAmestre,

sono contento che l’orologio di mio nonno abbia suscitato il vostro interesse, e vi ringrazio per la pubblicazione. Ho pensato di mostrarvi quell’oggetto dopo aver letto sul sito di quella ricerca non ancora cominciata sull’emigrazione bellunese verso Mestre: “l’armata perduta” l’avete chiamata.

[Per saperne di più…] su di noiMinatori del bellunese. Una lettera e due ricordi

Archiviato in: Corrado Zabeo, Fabrizio Zabeo, Gina Boz, La città invisibile Etichettato con: Belluno, lavoro, migrare, miniera, Volmerange-les-Mines

Storia del lavoro, storia sociale, storia globale

09/02/2012

di Christian De Vito

Per gentile concessione dell’editore ombrecorte e dell’autore, pubblichiamo alcuni brani dall’introduzione con cui il nostro amico Christian De Vito presenta un’antologia dedicata alla cosiddetta Global labour history (“storia del lavoro globale”), uscita da poche settimane (Global labour history. La storia del lavoro al tempo della “globalizzazione”, introduzione e cura di C. De Vito, ombrecorte, Verona 2012).

Il pubblico a cui De Vito pensa è quello di “lettori interessati”: non solo “esperti” o “specialisti”, ma “chiunque sia desideroso di capire le tendenze passate del lavoro e le trasformazioni rapide e radicali che esso sta attraversando”. La proposta della Global Labour History – sottolinea De Vito – è interessante proprio perché parte dall’osservazione della realtà sociale quotidiana, in cui siamo immersi, con l’invito a tenere presente, tra le altre cose: 1) che sono in corso esperienze sociali analoghe in ogni parte del mondo; 2) che è meglio abbandonare ogni nazionalismo, anche nel metodo; 3) che dimensione “micro” e “macro” vanno interrogate insieme. Infine, sembra davvero in linea con i tempi in cui viviamo l’idea che il concetto di “classe lavoratrice” debba essere esteso oltre il lavoro salariato (industriale), e si debbano prendere in esame le varie forme di servitù e di schiavitù, il lavoro autonomo, domestico, cooperativo.

Questa antologia raccoglie sei scritti di autori legati alla Global labour history, una corrente storiografica sviluppatasi a partire dalla fine degli anni Ottanta all’interno dell’Istituto internazionale di storia sociale (IISG) di Amsterdam e progressivamente divenuta una rete globale con connessioni dall’India al Brasile, dal Sud Africa agli Stati Uniti, dall’Australia al Pakistan alla Corea del Sud.

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Archiviato in: Christian De Vito, La città invisibile Etichettato con: lavoro, pagine scelte, storiografia

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