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associazione per la storia di Mestre e del territorio

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intervento

«Mi piace vivere alla Cita»

07/10/2007

di Emilia Parpagiola

Una insegnante descrive il condominio in cui abita dal 1984 e racconta alcuni aspetti della convivenza tra vicini alla Cita, un quartiere di Marghera costruito tra gli anni Sessanta e Settanta che periodicamente ha avuto cattiva reputazione ma che da lontano sembra il castello di Windsor .

Il condominio e il quartiere

Dal 1984 abito a Marghera, in un appartamento del condominio "Borromini", alla Cita. Vivo volentieri in un quartiere di 2000 abitanti che offre vari servizi: dalla scuola materna alla scuola di danza, dal medico al laboratorio di analisi e alla farmacia, dalle poste all’ipermercato e a molti negozi di vario tipo. Credo che la stragrande maggioranza dei proprietari dei 300 appartamenti originariamente privati delle “torri” della Cita condividano questa opinione. Ciò è dimostrato dalla “fedeltà abitativa” dovuta anche alla felice posizione del quartiere: vicino alla stazione ferroviaria, al centro di Mestre, all’autostrada e alle principali reti stradali del Veneto, e a Venezia raggiungibile in 10 minuti con il treno, con i frequenti autobus e, fra poco, con il tram.

[Per saperne di più…] su di noi«Mi piace vivere alla Cita»

Archiviato in: Emilia Parpagiola, La città invisibile Etichettato con: case, Cita, descrizione, intervento, Marghera

Ultras di sinistra

09/03/2007

di Filippo Benfante e Piero Brunello

Rispondendo alla lettera di Francesco Bianchini, un lettore del “manifesto” che si dichiara “tifoso della Roma” e di “estrema sinistra”, Sandro Portelli fa la seguente osservazione a proposito della differenza dei gruppi ultras “di sinistra” dai gruppi di estrema destra: “La differenza non può stare solo nel colore delle sciarpe o delle magliette, ma nel fatto che chi è di sinistra sta in una logica altra da chi è di estrema destra, non speculare ad essa. Cose incoraggianti da questi compagni ne abbiamo viste e sentite; sarebbe bello che insistessero e andassero oltre e fossero ancora più nitidamente diversi” (“il manifesto”, 10 febbraio 2007). Per continuare questa discussione nel nostro sito, che ha cominciato a pubblicare le cronache calcistiche di Matteo Di Lucca, riproponiamo un intervento di Filippo Benfante e di Piero Brunello (L’obiettivo è la nonviolenza, “il manifesto”, 27 giugno 2001), con lievi modifiche e un nuovo titolo. Benfante e Brunello sono autori di Lettere dalla curva sud. Venezia 1998-2000, Odradek, Roma 2001.

La partita VeneziaMestre-Verona, disputata allo stadio Penzo di Venezia, nell’aprile del 2000, è stata una delle più riuscite manifestazioni politiche a cui abbiamo partecipato negli ultimi anni. Quando il portiere Frey del Verona è venuto sotto la curva del VeneziaMestre per mettersi tra i pali della porta, noi abbiamo cominciato a fargli “buu, buu” come i tifosi della sua squadra fanno quando toccano palla i giocatori neri. Lui ha guardato in su con la coda dell’occhio e gli veniva da ridere. La Curva Sud è una struttura di tubi Innocenti e sovrasta la rete di recinzione del campo di gioco. Le facce dei giocatori si vedono bene. Frey è bianco come tutti i giocatori della sua squadra. 

Quel giorno una buona parte della curva Sud, incitata dal gruppo Ultras Unione, applicava a suo modo il decreto che il governo aveva promulgato contro gli episodi di razzismo, e che la polizia applicava anche lei a suo modo, sequestrando stelle rosse, Che Guevara e foglie di marijuana disegnate a pennarello.

Ecco un buon esempio di politica: divertimento, piacere di fare cose assieme, ironia. Ci sarebbe piaciuto trovare lo stesso clima sfilando a Vicenza l’anno prima, manifestando contro le bombe sul Kosovo. Allora ci era capitato di entrare in piazza, con un corteo pacifista, accompagnati dalla colonna sonora di Avanti popolo, tuona il cannone. La debolezza di un movimento dipende anche dal fatto di non riuscire a staccarsi da un vecchio repertorio di simboli, di canzoni, di ritualità. Ed ecco qui invece, nella curva di uno stadio, un inatteso colpo di fantasia: per controbattere gli slogan antimeridionali avevamo già cantato “O sole mio”, ora per rendere ridicoli gli ululati razzisti si faceva “buu” a tutti i giocatori bianchi.

Da qualche tempo la geografia dei rapporti tra gruppi ultras si sta ridisegnando attorno al contrasto tra razzismo e antirazzismo. Su questa base si modificano gemellaggi, amicizie e rapporti di non belligeranza. L’atteggiamento nei confronti delle croci celtiche, degli striscioni antisemiti e dei cori razzisti sono diventati una discriminante. Ne discutono le fanzine in tutta Europa. Anche le società sportive devono misurarsi, sia per motivi di immagine, sia per evitare multe e penalità. Bisogna però chiederci se tutto questo sia sufficiente.

Un giocatore nero viene insultato ricordandogli il colore della pelle, e uno bianco viene insultato urlando “puttana” alla moglie. Perché il primo caso suscita una mobilitazione antirazzista e il secondo è considerato normale e nessuno ci fa caso? Eppure hanno una radice comune. L’antirazzismo non mette in discussione la ritualità, i modelli di comportamento e il maschilismo che sta alla base dell’adesione ai gruppi ultras. Per esempio la campagna che molti gruppi ultras stanno facendo per isolare nel disprezzo quanti usano coltelli negli scontri tra tifoserie è stata ed è molto importante. Ma gli appelli (“Basta lame, basta infami”) vengono fatti in nome di un codice d’onore virile che prevede scontri leali, tra ultras, in numero pari e a mani nude, senza coinvolgere semplici spettatori; così come prevede, tra le altre cose, destrezza nel rubare striscioni o stendardi degli avversari, e capacità di difendere i propri striscioni, la propria fetta di stadio e gli spazi antistanti il proprio bar.

Ammettiamo che nelle curve si cominci a cantare sull’aria del canto anarchico “Nostra patria è il mondo intero / nostra legge la libertà / e un pensiero…” con finali del tipo “l’Unione in serie A”o “la Lazio in Champions League”. È difficile da immaginare. Forse queste parole modificherebbero il modo di fare di chi le canta. Ma cosa cambierebbe, se l’atteggiamento di fondo e il modo di presentarsi dovesse rimanere lo stesso? Trattandosi di un repertorio espressivo, le forme dell’azione sono altrettanto, se non più importanti. Quello che soprattutto importa nei cori da stadio è cantare a comando, così come è decisivo il fatto che a lanciare il coro sia sempre un maschio, che le donne accettate nella gerarchia debbano avere modi di fare maschili, che i tifosi avversari siano “merda” e così via.

Crediamo che i gruppi ultras che stanno discutendo di razzismo, pay tv e misure di polizia, dovrebbero mettere come obiettivo non l’antirazzismo (questo sarebbe una conseguenza), bensì la nonviolenza. Questo obbligherebbe a interrogarsi sui rapporti tra ultras e gli altri protagonisti dello spettacolo, dagli spettatori della propria curva ai tifosi della squadra avversaria. Si tratta di riflettere sul comportamento dei gruppi organizzati e su quello della polizia, le cui azioni non vanno viste solo come una “reazione” (che perciò tutti giustificano anche quando è violentemente cieca e spropositata), ma come una politica messa in atto da uno dei protagonisti. La discussione che alcuni gruppi, come gli Ingrifati del Perugia, hanno avviato su come intervenire per la “riduzione del danno” nei conflitti all’interno degli stadi, ci sembra vada in questa direzione. Il calcio ritualizza lo scontro: proprio per questo si può imparare molto dalle componenti fantasiose che si esprimono nel tifo. Scriviamo queste righe pensando alle persone che frequentano le curve dello stadio e seguono una tifoseria organizzata per il gusto di stare assieme e di fare spettacolo: oltretutto questo sarebbe un modo, per quanto piccolo, per rifiutare complicità con un sistema corrotto e ipocrita, quello del calcio professionistico, che una parte degli ultras sente sempre più distante e ostile.

Archiviato in: Filippo Benfante, La città invisibile, Piero Brunello Etichettato con: calcio, intervento, pagine scelte, ultras

storiAmestre

09/01/2007

di Matteo Melchiorre

Pubblico qui alcune mie considerazioni su storiAmestre. Sono già apparse sul settimanale Carta, allegato Veneto. Rispetto all'articolo scritto per la rivista Carta, questo che segue contiene una menda, a mio parere significativa. Da socio di tarda acquisizione, avevo messo insieme il deceduto periodico Altrochemestre con un'associazione omonima, Altrochemestre. Pensavo, insomma, che Altrochemestre fosse la rivista dell'associazione Altrochemestre la quale, però, non è mai esistita come associazione visto che già esisteva storiAmestre. Altrochemestre è una questione, e storiAmestre è un'altra questione ancora. Il mio è stato un errore bello e buono. Me ne scuso. Per questa pubblicazione on line, dunque, è stato eseguito il dovuto ritocco. Agli amici di storiAmestre (e Altrochemestre) propongo, però, di tenere a mente Marc Bloch: un errore, quando capita, ha sempre un perché. Ce ne può essere uno da aggiungere alla mia insufficiente conoscenza della storia di storiAmestre?

Il sito che da pochi mesi si incontra in www.storiamestre.it è l’approdo più recente di un’associazione di cui appresi per la prima volta nel 2002: mi aveva incuriosito trovare, in un libro che stavo leggendo, una dedica agli “amici di Altrochemestre”. Al proposito avevo in mente soltanto alcuni numeri di una rivista, omonima. In seguito ho saputo che Altrochemestre-rivista e Altrochemestre-associazione erano due questioni distinte e che, morta la rivista, l’associazione era nel frattempo diventata storiAmestre.

Vi sono dunque due epoche: Altrochemestre è la più antica, inizia nel 1988 e si esaurisce nel 1998; storiAmestre, invece, è l’epoca d’oggi. Nella sostanza è cambiato poco: l’associazione si occupa di storia e di Mestre; coltiva, nella fattispecie, la storia contemporanea con tendenza alla storia sociale e dal basso; avanti gli uomini comuni, sullo sfondo altari ed eroi. Ogni storia richiede un luogo, almeno in partenza; in questo caso, il luogo è Mestre. Da qui, poi, l’orizzonte si amplia sul Veneto e più oltre ancora; ad esempio fin nel quartiere San Lorenzo, a Firenze. Perché partire proprio da Mestre? Primo, perché i fondatori dell’associazione sono mestrini; secondo, perché la città è un sunto denso di quello che le sta attorno. Si va male ad elencare i temi di storiAmestre. La chiave sta nell’atteggiamento più che nei contenuti. Sono stati studiati fascismo, anarchia, quartieri, persone, movimenti politici del ‘900, storie del lavoro, metodi per una ricerca onesta e civile, condizioni urbanistiche, storia delle donne, tecniche di inchiesta. La più viva delle intuizioni che animano storiAmestre è forse il tentativo di estendere al tempo presente l’indagine storica, con i suoi metodi, attenzioni e pretese. Com’è il presente guardandolo con gli occhi della storia? E, a guardarlo così, com’è il Veneto-Nordest? Il cuore vero di storiAmestre è l’amore per la comprensione del presente. Dunque – giocoforza – si deve cercare di sapere anche il passato. StoriAmestre non sta al chiuso, l’indagine storica prende senso dalla sua condivisione. Per avere un quadro completo delle iniziative si vada ancora in www.storiamestre.it. 

L’associazione organizza dibattiti, cicli di conferenze, giornate di studio, presentazioni di libri, mostre, didattica nelle scuole. È recente, inoltre, l’impegno nella conservazione di fonti orali e iconografiche. Dall’anno scorso ci sono in più i Quaderni di storiAmestre. Si tratta di pubblicazioni autofinanziate, a scadenza stagionale, consigliabili per qualità, veste grafica e prezzo contenuto. S’occupano di problemi monografici. Fin qui ne sono usciti cinque. I titoli parlano da sé:

Breda, marzo 1950. L'intervento del sindaco Giobatta Gianquinto. Le cronache di Gianni Rodari, a cura di Mirella Vedovetto, 2005;

Piero Brunello, L'anarchico delle Barche. Notizie su Luciano Visentin, calzolaio (1898-1984), 2005;

Bloch notes. Domande e riflessioni nell'anniversario della morte di Marc Bloch (1944 – 2004), a cura di Elena Iorio e Filippo Benfante, 2005;

Andare a vedere. Inchiesta, reportage, resoconto, Atti della giornata di studio organizzata da storiAmestre ed Etam-Animazione di comunità e territorio (Mestre, 19 novembre 2004), a cura di Maria Luciana Granzotto e Claudio Pasqual, 2006;

Christian De Vito, Cronache di anni neri. Dal quartiere San Lorenzo, Firenze 2003-2005, 2006.

È di prossima uscita il sesto quaderno, una raccolta di scritti di Gigi Corazzol, da cui si apprenderà, con gusto, che la storia è un problema di approcci e non di contenuti. A fare storiAmestre è però tutto il parlare che si mette insieme tra gli associati, e poi il suggerire, il chiedere, il consigliare, lo scriversi, il trovarsi. Non essendo una confraternita, non servono prove di nobiltà, patenti, titoli, esami. Si chiede e ci si iscrive. Chi vuole salda amicizie robuste, chi non vuole va e ascolta; fruisce. Immagino che, ad averlo chiesto a un altro socio, il giro sarebbe stato tutt’altro dal mio. Per penetrare a fondo nello spirito certo di storiAmestre mi si conceda quindi di rinviare a uno scritto sul quarto numero di Altrochemestre, 1996, ora anche on line. Va senz’altro consigliato: si tratta di una lettera indirizzata dritta ad Erodoto, padre della storia.

Archiviato in: La città invisibile, Matteo Melchiorre Etichettato con: intervento, intevento, pagine scelte, presentazione

Per un Museo del Novecento a Mestre

15/10/2006

di Claudio Pasqual

Ripubblichiamo l'intervento comparso su "la Nuova di Venezia e Mestre" il 13 ottobre 2005, nell'ambito del dibattito sul Museo di Mestre. 

Il museo di Mestre – la prudenza è d’obbligo, trattandosi di Mestre e visti i precedenti – finalmente si farà. Prima ancora aprirà i battenti l’attesa mostra “Mestre Novecento”, che il curatore Giorgio Sarto ha impostato, e per impianto metodologico-scientifico e per la ricca documentazione raccolta, come primo passo della costruzione del nuovo museo. I tempi sembrano maturi: entrambe le iniziative si faranno con il contributo determinante della Fondazione Venezia, dunque di una istituzione privata, ma soprattutto perché lo vogliono fermamente – il dibattito su “la Nuova” lo dimostra – le forze intellettuali e associative più sensibili e attive della città; si attende perciò una scelta finalmente responsabile da parte del Comune che in questi anni l’ha spesso dichiara ma mai realmente compiuta, come dimostrano le sconcertanti vicissitudini e gli ostacoli frapposti al progetto MestreNovecento.

[Per saperne di più…] su di noiPer un Museo del Novecento a Mestre

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