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Maria Luciana Granzotto

13. Acque alte a Mestre e dintorni

09/03/2013

Storie, luoghi, persone (2006-2011)

a cura di M. Luciana Granzotto e M. Giovanna Lazzarin

con contributi di: Giuseppe Baldo, Piero Brunello, Luigi D'Alpaos, Lorenzo Del Rizzo, Andrea Ferialdi, Claudio Pasqual, Alessandro Pattaro, Luca Pes, Pino Sartori, Francesco Vallerani, Giannarosa Vivian, Michele Zanetti, Claudio Zanlorenzi e numerose testimonianze raccolte dalle curatrici.

Uscita: marzo 2013, 184 pagine, 14 euro

Le alluvioni di terraferma che fin dall’Ottocento coinvolgevano ampie zone della terraferma veneziana sono un fenomeno conosciuto. Ma dal settembre 2006 e 2007 si sono verificati così estesi allagamenti e danni tanto ingenti ai quartieri urbani e alla zona industriale, da mobilitare persone e istituzioni. Dal 2008 storiAmestre ha cominciato a riflettere su ciò che era accaduto in quei giorni ai quartieri della terraferma veneziana e ai comuni di cintura investiti, con tempi e intensità diverse, dalla stessa emergenza. C’era inizialmente la curiosità di capire come un evento straordinario fosse riuscito ad attivare l’energia delle persone, in un momento storico in cui sembra esserci una forte disaffezione verso la cosa pubblica.

Tante erano le domande: Quali ne sono le cause? Quali forme di sapere del territorio vengono messe in gioco? Come agiscono le persone di fronte a un evento straordinario? Quale ruolo svolgono le istituzioni? Quale sviluppo si può pensare per un futuro sostenibile del territorio e delle sue acque?

Le risposte sono raccolte nei sei capitoli del libro, opera di studiosi di diversa esperienza: geografi come Francesco Vallerani, geologi come Aldino Bondesan, ambientalisti come Michele Zanetti, storici come Piero Brunello e Luca Pes, ingegneri idraulici come Luigi D’Alpaos, oltre a tecnici dei Consorzi di bonifica e agli esponenti dei diversi Comitati. Le curatrici hanno poi raccolto notizie ed esperienze di altre venticinque persone che in questi anni sono state alle prese con le conseguenze di alluvioni.

Archiviato in: Acque alte a Mestre e dintorni, Alessandro Pattaro, Andrea Ferialdi, Centro documentazione città contemporanea, Claudio Zanlorenzi, Francesco Vallerani, Giannarosa Vivian, Giuseppe Baldo, Lorenzo Del Rizzo, Luca Pes, Luigi D'Alpaos, Maria Giovanna Lazzarin, Maria Luciana Granzotto, Michele Zanetti, Piero Brunello, Pino Sartori, Quaderni Etichettato con: alluvione, intervento, intervista, ricordi, storiografia

Vuvuzelas, ovvero un requiem per la democrazia

01/01/2012

di Angelo Nordio e Maria Luciana Granzotto

Riceviamo altre notizie a proposito dei consigli comunali di Dolo del 13 e 20 dicembre 2011, in cui è stato approvato, malgrado la protesta popolare, il progetto “Veneto City”. Il testo che segue è il frutto di una conversazione tra marito, Angelo, e moglie, Luciana. Per comodità si è scelto di usare la terza persona singolare. Solo Angelo, ha partecipato agli avvenimenti che sono raccontati: lo abbiamo già incontrato nella cronaca scritta da Claudio Zanlorenzi.
 
“Vuvuzelas song”, martedì 13 dicembre 2011

1. Angelo è un po’ in ritardo rispetto all’appuntamento con gli attivisti del Cat, fissato per le 16,30 davanti al municipio di Dolo. Cat è l’acronimo di Comitati ambiente territorio, una rete di comitati e associazioni della Riviera del Brenta che si occupa di emergenze ambientali causate dalle grandi opere. Oggi, 13 dicembre 2011, è convocato il consiglio comunale per ratificare l’accordo di programma su Veneto City, un progetto di città artificiale che si vuole costruire su un’area agricola tra i comuni di Dolo e Pianiga.

Arriva e passando con la macchina dà un’occhiata all’entrata principale del municipio, c’è già un assembramento di persone con striscioni, vuvuzelas, fischietti e pignatte che fanno un rumore tremendo. Parcheggia sulle strisce blu, sa che in questa giornata potrebbe metterla anche in divieto di sosta senza problemi, tanto i vigili saranno certamente impegnati a presidiare il consiglio comunale. Sale con decisone le scale, nessuno lo ferma, né gli chiede nulla; su in sala c’è un gruppetto di attivisti che ha preso posizione. Sono seduti per terra nella parte riservata al pubblico, davanti hanno una barriera di poltrone, un po’ a difesa e un po’ per ricavarsi lo spazio necessario al sit-in. Angelo ha l’impressione che si stiano preparando a fronteggiare uno sgombero da parte delle forze dell’ordine.

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Archiviato in: Angelo Nordio, La città invisibile, Maria Luciana Granzotto Etichettato con: cronaca, manifestare, Veneto City

Controllare le acque a vista. Un’intervista a Mirco Capo

07/04/2011

a cura di Claudio Zanlorenzi, Maria Luciana Granzotto, Maria Giovanna Lazzarin

Claudio Zanlorenzi ha intervistato Mirco Capo, geometra che ha lavorato per oltre trent’anni anni al Consorzio Dese-Sile durante il seminario “Acque alte a Mestre e dintorni” che si è tenuto martedì 16 novembre 2010. Luciana Granzotto e Giovanna Lazzarin hanno incontrato di nuovo il geometra Capo il 5 gennaio 2011. Il testo che segue è una sintesi delle due interviste.

Il geometra Mirco Capo ha lavorato per trentasei anni al Consorzio Dese-Sile, era responsabile della manutenzione, esercizio e tutela del territorio. Gli chiederei intanto com’era organizzato il Consorzio.

Sono “nato” nel Consorzio Dese Superiore nel 1968, il 2 maggio, ho finito il 30 giugno del 2004, trentasei anni abbondanti. Quando sono entrato il Consorzio aveva sede in via Carducci. Allora c’erano due Consorzi di bonifica: il Dese Superiore, da Mestre fino a Resana, a scolo naturale, e il Dese Sile Inferiore che aveva come limite la laguna di Venezia, a sollevamento meccanico. Nel 1980 la Regione ha riunificato i due Consorzi ed è nato il Dese-Sile.

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Archiviato in: Acque alte a Mestre e dintorni, Centro documentazione città contemporanea, Claudio Zanlorenzi, Maria Giovanna Lazzarin, Maria Luciana Granzotto, Mirco Capo Etichettato con: alluvione, intervista

25 aprile a Mirano (Venezia). Cronaca a due voci

29/04/2010

di Roberto Vivian e Maria Luciana Granzotto

Le cronache di Roberto Vivian e di Maria Luciana Granzotto, dopo aver assistito a quel che è accaduto sul palco delle celebrazioni del 25 aprile 2010 a Mirano.

1. Roberto Vivian

Oggi in tarda mattinata io e mia moglie siamo andati a Mirano. Quando siamo arrivati era già iniziata la cerimonia commemorativa del 25 aprile. C’era una delegazione dell’ANPI e sul palco stava parlando un signore che più volte ha guadagnato alcuni applausi dalla gente del pubblico – abbastanza numeroso (giovani pochissimi, la maggior parte direi oltre i “quaranta”).

Non sono riuscito a capire chi fosse ma ho cercato in rete e potrebbe essere Ernesto Brunetta dell’Istituto storico della Resistenza di Treviso. Durante il suo discorso ho percepito alcuni mugugni dal pubblico che transitava di passaggio, tipo “…sempre i stessi discorsi da 70 anni a ‘sta parte”, oppure “…senti da che pulpito”.

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Archiviato in: La città invisibile, Maria Luciana Granzotto, Roberto Vivian Etichettato con: 25 aprile, Bella Ciao, canzoni, cronaca

Vicenza. 17 febbraio 2007

21/02/2007

di Maria Luciana Granzotto

Quando i giorni scorsi pensavo alla manifestazione del 17 febbraio mi veniva in mente in modo un po’ ossessivo l’adagio che aveva caratterizzato uno spettacolo di Paolini di qualche anno fa: Ni savea parchè ma tutti ‘ndava a Vicensa. C’è il sole e un sacco di gente in stazione a Mestre che cammina in fretta. Lunga fila in biglietteria, ma sono quelli che vanno a Venezia per il Carnevale. L’effetto è estraniante, niente striscioni, né bandiere, niente gruppi festanti in partenza, solo mascherine e viaggiatori con valige e trolley. Forse il grosso dei manifestanti se n’è andato col treno speciale delle 11, almeno lo spero. Mi guardo intorno, vedo due, tre persone che conosco, magari vanno a Vicenza. 

Il treno mezzo vuoto si riempie a Padova, a Grisignano tutto il corridoio è occupato, a Lerino non entra più nessuno. Nel vagone open-space si parla ad alta voce al cellulare: il corteo è già partito perché è così tanta la gente che continua ad arrivare che è meglio mandare avanti. 

Arrivo con banda musicale, verrebbe voglia di ballare ma siamo stipati come sardine. Sul piazzale della stazione un muro di persone, mi sento inghiottita, fagocitata, cerco gli altri, ho paura di perderli e di perdermi, intorno c’è un clima di festa. Si suona Bella ciao nuova versione, a metà tra la banda popolare e la musica balcanica. La prima scommessa, la partecipazione, capisco che è vinta. 

Cerco al telefono un amico di Vicenza ma in mezzo al frastuono mi dice che lui è già nel corteo ma è fermo, bloccato, e non può raggiungerci. 

Cominciamo a camminare veloci, ci inoltriamo nella manifestazione, dove andiamo con questa fretta non lo so, forse vogliamo vedere tutto, forse cerchiamo un buon posto dove tirare fuori i nostri striscioni autogestiti. Saluto in lontananza due amici, mi sarei fermata volentieri a fare due chiacchiere con loro ma rischio di perdermi e mi sembra troppo presto per farlo, siamo solo all’inizio del pomeriggio. 

Incrociamo uno che si è messo a vendere bottigliette di acqua minerale sotto a un ombrellone, chissà quanto le farà pagare. Più avanti, sotto a degli alberi, un autentico “vespasiano” in cemento. Incredibile che sia sfuggito alla crociata per la pubblica decenza. 

Vedo gente dappertutto, non ci sono spettatori fermi che guardano, o i vicentini hanno avuto paura dell’annuncio dei disordini e stanno chiusi in casa o sono tutti qui, con noi. La paura: è una settimana che viene distillata sui giornali e in ogni servizio televisivo su Vicenza. La parte del leone l’ha fatta l’informazione regionale, dove ogni giorno c’è il giro di interviste “mordi e fuggi” ai vicentini per strada: c’è la signora preoccupata, il negoziante che dice che sabato chiuderà, ne piazzano sempre uno che dice laconicamente “Che schifo!” e “Vergogna!”. 

Sulle nostra testa gli elicotteri della polizia continuano a girare sopra al corteo. Mi ricorda l’attacco di Speak to me dei Pink Floyd, nell’ellepi The dark side on the moon. 

Passiamo e sorpassiamo pezzi di corteo, qualche amico lo abbiamo già perso. Guardo con meraviglia i tanti, tantissimi giovani tra le bandiere, gli striscioni. 

Se dovessi dire quali sono le bandiere più numerose, fare cioè una specie di classifica, metterei in testa Rifondazione e, di seguito, gli anarchici (mai viste tante bandiere rosse e nere, mai visto tante tutte insieme), i Cobas, i Comunisti italiani. La CGIL non l’ho vista, deve essere da un’altra parte del corteo. 

Su quali sono gli striscioni più belli, non avrei dubbi, quelli dei Centri sociali, sono caricaturali, grotteschi, colorati e originali. Siamo dietro a loro, ci sparano musica a tutto volume e scarico libero di un diesel puzzolente. 

Camminiamo oltre, qui il corteo è un po’ sfrangiato, ci si muove bene. Dietro, un po’ flebile, sento suonare Blowning in the wind, mi fa pensare al parallelo America Iraq nuovo Viet-nam. 

Abbiamo sfilato sempre fuori del centro di Vicenza, siamo in una specie di corridoio, da una parte le vecchie mura, dall’altro lato condomini popolari anni Settanta, tristi e grigi, tipologia realismo socialista dei paesi dell’est europeo. I poggioli sono vuoti di persone e di bandiere, nessun cartello. Mi sarebbe piaciuto passare tra festoni arcobaleno. Scopro una città se non ostile, chiusa. Non so bene perché ma ho un corto circuito geografico, mi sembra di essere in un altro posto, a Treviso per esempio. 

Polizia non se ne vede, ci sono i vigili urbani, discretamente stanno ai margini del corteo, presidiano, insieme ai volontari della protezione civile con casacca arancione le strade che portano dentro città. Ormai le manifestazioni sfilano sempre fuori dai centri cittadini, sono espulse come un corpo estraneo. Le fanno camminare per le tangenziali, per le bretelle esterne, quelle da traffico pesante e di passaggio. Si blocca la circolazione sì, ma dai fastidio, gli automobilisti ti mandano in malora, tu e la tua protesta. Anche a Mestre succede così, mesi fa gli operai preoccupati per la dismissione della chimica a Marghera hanno protestato e li hanno fatti camminare sulla camionabile che porta in Romea. 

Vedo il primo bar aperto, un sacco di gente dentro e fuori. Anch’io berrei volentieri un caffè. 

Due ragazzine tengono in mano uno scatolone, quelli da cinque risme di carta da fotocopie, con una fessura a salvadanio. Li scuotono e fanno tintinnare le monete che ci sono dentro, sono i soldi per il presidio permanente del “No Dal Molin”. C’è anche l’indicazione del conto corrente postale. Per resistere serve denaro. Mi ricorda il racconto di una donna comunista che, negli anni Cinquanta, con un carretto girava per i paesi della Riviera del Brenta a raccogliere roba da mangiare da dare agli operai che occupavano una fabbrica a Porto Marghera, e alle loro famiglie senza stipendio. 

Appoggiati a delle recinzioni ci sono cartelli in inglese con la bandiera a stelle e a strisce. Sono i pacifisti americani che portano la loro solidarietà, ci guardano sorridendo con l’aria un po’ stranita. 

Un gruppetto circola con lo scolapasta in testa, qualcuno è di plastica colorata, qualcun altro in acciaio. Una donna ci ha inserito un piccolo fiore rosso di stoffa. 

Curviamo davanti all’ospedale, si serrano i ranghi, la strada si restringe. Provano a leggere il nostro striscione colorato, “basi no fa busi, ma ‘sta base ghe ne fa”, lo vorrebbero anche fotografare, non lo capiscono e procedono oltre. Viene proposto un testo semplice e incisivo per uno striscione: “Bush va in mona!”. Verrà buono un’altra volta. 

In alto sul bastione, da una finestra si sporge una ragazza bella e sorridente con un gran fiore rosso all’orecchio, batte la pentola con un mestolo. Scattano in successione le macchine fotografiche. Dall’alto vediamo un lungo fiume colorato di persone, stiamo raggiungendo Campo Marzo, capolinea del corteo, qui c’è il palco e Dario Fo. C’è anche una postazione di pronto intervento medico, tante tende a igloo grigie, sembra un campo militare. Ma cosa pensavano succedesse? 

Noi viriamo verso la stazione e torniamo a Mestre.

Archiviato in: La città invisibile, Maria Luciana Granzotto Etichettato con: cronaca, manifestare, No Dal Molin, Vicenza

4. Andare a vedere

27/06/2006

Inchiesta, reportage, resoconto

Atti della giornata di studio organizzata da storiAmestre ed Etam-Animazione di comunità e territorio (Mestre, 19 novembre 2004)

a cura di Maria Luciana Granzotto e Claudio Pasqual

con interventi di Goffredo Fofi, Luca Pes, Vittorio Rieser, Matteo Melchiorre, Lina Zecchi, Maria Turchetto, Piero Brunello, Bruna Bianchi, Nadia Caldieri

estate 2006, 112 pp., 8 euro

"Stiamo diventando animali senza orientamento, senza naso, senza antenne. Cominciamo a fare fatica a capire ciò che è realmente reale e ciò che ci viene messo davanti come tale. La realtà è sempre più una costruzione artificiale. E questo può sembrare abbastanza ovvio. Il fatto nuovo è che la realtà-ambiente nella quale siamo immersi non è più tanto, come mezzo secolo fa, il prodotto del lavoro, ma è il risultato della produzione delle immagini. Non siamo più veramente convinti che l'ambiente sia reale e non virtuale. Perchè allora occuparsene? Forse, dice il nostro inconscio, se spengo il telecomando questa piazza, questa periferia, queste facce che ho davanti spariscono…! Ho l'impressione che il potere (non è un mito, esiste!) abbia bisogno di addestrare sempre più questa labilità: ciò che esiste deve essere percepito come "libero" e possibile, virtuale e opzionale, non necessario e cogente. Così i caratteri di necessità e cogenza che erano i caratteri di qualsiasi fenomeno reale, si indeboliscono, si fanno sbiaditi, fluttuano."

Alfonso Berardinelli, Sull'utilità di descrivere ciò che si vede,

"Altrochemestre. Documentazione e storia del tempo presente", 2 (1994), pp. 22-25.

[Per saperne di più…] su di noi4. Andare a vedere

Archiviato in: Bruna Bianchi, Claudio Pasqual, Goffredo Fofi, Lina Zecchi, Luca Pes, Maria Luciana Granzotto, Maria Turchetto, Matteo Melchiorre, Nadia Caldieri, Piero Brunello, Quaderni, Vittorio Rieser Etichettato con: inchiesta, storiografia

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